le lampade lampo

1929 - 1980 c.a.


Mazda
(anni '30)
70 x 120 mm c.a.
(Cortesia Maurizio Tonarelli - Firenze)


Wabash Sylvania Superflash No.3
(anni '40)
72 x 145 mm


Sylvania Superflash No.2
(anni '40)
60 x 115 mm


Sylvania Superflash Press 40
(anni '40 - '50)
48 x 98 mm


General Electric #5
(anni '50 - '60)
34 x 62 mm


Sylvania M2B
(anni '50 - '60)
21 x 45 mm


Sylvania M3
(anni '50 - '60)
21 x 45 mm


Sylvania AG1B
(anni '50 - '60)
11 x 32 mm


Philips Photoflux PF1
(anni '50 - '60)
14 x 40 mm



Osram Cuboflash X
(anni '70 - '80)
22 x 22 x 35 mm

Il 14 giugno 1851 H. F. Talbot utilizzò la luce di una forte scarica elettrica per fotografare nitidamente un oggetto in movimento. Fu la prima flashata della storia, ma doveva passare ancora un secolo prima che il lampeggiatore elettronico diventasse una fonte di luce potente e trasportabile. Nel frattempo il magnesio, conosciuto fin dal 1808, fu l'unica sorgente di luce trasportabile a disposizione dei fotografi ma anch'esso, per lungo tempo, non potè essere usato con successo. Infatti fino al 1860 il prezzo del magnesio fu troppo alto per poter essere utilizzato al di fuori degli esperimenti scientifici e in ogni caso, anche quando fu prodotto industrialmente (1880), quindi più a buon mercato, la sua attinicità mal si coniugava con la sensibilità spettrale delle emulsioni. Pertanto il lampo al magnesio divenne realmente usabile solo all'inizio del '900, con la comparsa delle emulsioni pancromatiche. Ciò non toglie che le lampade al magnesio esistessero fin dal 1865, ma questo nome identificava un contenitore attrezzato per bruciare del filo o della polvere di magnesio. Le prime tracce storiche di un bulbo di vetro contenente magnesio, che risolveva il problema, assai fastidioso, del fumo e della polvere di ossido di magnesio causati dalla fiamma in atmosfera libera, sono un brevetto provvisorio rilasciato nel 1882 a John Mc Clellan e una bolla di vetro per la fotografia subacquea del 1893. Infine, il 14 giugno 1900, Erwin Quedenfeldt ottenne il brevetto di una lampada analoga a quelle per l'illuminazione elettrica ma contenente polvere di magnesio sopra al filamento che ne avrebbe causata l'accensione. Con il brevetto di Quedenfeldt le caratteristiche della lampada flash erano state definite ma i tempi non erano ancora maturi per la sua diffusione perchè mancava un efficace meccanismo di sincronizzazione fra l'accensione della lampada e lo scatto dell'otturatore. Negli stessi anni però la diffusione delle pile a secco aprì la strada ai primi lampeggiatori ad accensione elettrica, ovvero che utilizzavano l'elettricità per accendere il magnesio delle lampade, e di conseguenza stimolò lo studio di varie soluzioni per sincronizzare gli otturatori delle macchine fotografiche. I tempi erano ormai maturi quando la lampada Vakublitz fu prodotta nel 1929 da Johannes Ostermeier su progetto di Paul Vierkotter. Egli inizialmente aveva ideato un filamento di magnesio contenuto in un bulbo contenente ossigeno a bassa pressione (1925) ma, nel 1927, aveva sostituito il magnesio con dei foglietti di alluminio. La Vakublitz si diffuse rapidamente e prodotti analoghi furono messi in commercio dalla General Electric (Sashalite, 1930) e dalla Philips (Photoflux, 1933). Quest'ultima introdusse un'utile novità per la sicurezza del fotografo: una macchia di colore che permetteva di stabilire la tenuta del vetro e scartare le lampade che sarebbero potute esplodere al momento dell'accensione.
La genesi della lampada flash era ormai compiuta e, a partire dal 1930, ci fu un nuovo impulso nel perfezionamento dei sistemi di sincronizzazione dell'otturatore con l'accensione della lampada. Nel 1935 la reflex Exakta (modello B) fu la prima macchina fotografica ad essere dotata di serie dei contatti elettrici per l'accensione del flash e alla fine del decennio l'utilizzo del flash a lampadine era diventato accessibile anche alle macchine economiche, quali ad esempio la Kodak Six-20 Flash Brownie (1940) illustrata in questa pagina.
Negli anni '50 la sincronizzazione era a disposizione sulla maggior parte delle macchine fotografiche e verso la fine del decennio si affermò il contatto "PC" a due poli coassiali tuttora in uso. Nel frattempo la dimensione delle lampade si stava riducendo progressivamente fino a permettere l'integrazione del flash nel corpo della macchina stessa. Nel 1966 il Cuboflash dette il via all'ultima evoluzione di lampade al magnesio. Basato su 4 lampade AG1 alloggiate in una scatoletta di plastica, esso costituiva di fatto 4 flash indipendenti, completi di riflettore e assolutamente sicuri contro le esplosioni. Il Cuboflash fu seguito dal Cuboflash-X e da altri prodotti basati sulle lampade AG1, le più piccole che siano state costruite.
Nel frattempo, fin dal 1930, periodicamente era stato ripreso lo studio del flash elettronico basato su una scarica elettrica ad alta tensione in un tubo di vetro contenente un gas (tipicamente xenon) e i primi flash elettronici erano apparsi in commercio a partire dal 1940. All'inizio si trattava di ingombranti attrezzature da studio ma verso il 1950 essi divennero trasportabili e poi più compatti e leggeri con l'invenzione del transistor. Verso il 1960 i flash elettronici avevano reso obsoleti i flash al magnesio professionali mentre quelli economici, per le fotocamere compatte, sopravvissero approssimativamente fino al 1980. Tuttavia per tutti gli anni '70 molte fotocamere professionali, quali ad esempio la Olympus OM-2 e la Hasselblad 500 CM, offrivano ancora la sincronizzazione per le lampade lampo ed alcuni, rari, amatori continuano ancora oggi a preferire il segno distintivo della combustione lenta del magnesio.

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